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ESPORSI PER CAMBIARE : Affect Phobia Therapy: l’integrazione per leggere la complessità
- 30/03/2022
- Posted by: delmondo imperatore
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Affect Phobia Therapy: l’integrazione per leggere la complessità
A cura di Dott. Alessandro Bellin Certified APT™-Therapist
Keywords: psicoterapie dinamiche brevi, soma, tensione possibile, esposizione ed esporsi, fobia dell’affetto, controtransfert modelli operativi integrati nella pratica clinica
Già al tempo di S. Ferenczi si discuteva sul significato della brevità della psicoterapia e sul grado di attività del terapeuta nel trattamento; si ritrovano nella sua opera con O. Rank, The Development of Psychoanalysis, 1924, le prime considerazioni relative a questi argomenti, oltre alla teorizzazione dell’importanza della relazione terapeuta – paziente.
Fu così che alcuni esponenti del pensiero psicoanalitico classico iniziavano a compiere una loro evoluzione sulla tecnica, approdando successivamente ad una concettualizzazione più organizzata delle psicoterapie brevi. Pionieri in questo campo furono F. Alexander e T. H. French; le modifiche che apportarono alla tecnica psicoanalitica classica riguardarono principalmente il setting, l’attività del terapeuta, le interpretazioni di transfert e l’individuazione di un focus di lavoro condiviso col paziente. Questo focus consentiva di accompagnarlo ad una posizione di maggior attenzione e responsabilità verso sé stesso, evitando di cristallizzarlo in una posizione passiva che favoriva lo sviluppo della nevrosi da transfert. Ulteriori cambiamenti e innovazioni furono promossi da autori moderni, come H. Davanloo et al. che aprirono nuove strade di accesso all’inconscio attraverso il soma. La psicoanalisi sembrava infatti aver omesso il corpo come depositario dei vissuti e delle componenti biologiche delle emozioni; nonostante i primi psicoanalisti fossero medici, questa dimensione risultava un “grande assente”.
- Davanloo ha voluto riconsiderare il soma, mettendolo al centro: ha deciso di coinvolgere direttamente il paziente, ascoltandolo e orientandosi in base alla sua capacità di tollerare i conflitti; il corpo viene considerato come un depositario della “verità” del paziente e indica quanto la sua struttura psichica sia in grado di tollerare il conflitto, rimasto a lungo seppellito nelle oscure cantine dell’inconscio. Se agli inizi della Psicoterapia Dinamica Breve (in particolare vedi la STAPP, P. Sifneos con i Cinque Criteri di Selezione)[1]si sosteneva che questa tipologia di tecnica fosse riservata a pazienti con focus edipici, con H. Davanloo (1995b) attraverso il modello graduato[2] possiamo vedere come questa tecnica intensiva possa aiutare il paziente ad accedere al suo inconscio, al fine di far emergere le sue conflittualità e affrontare le angosce più profonde. La “preparazione” del paziente avviene attraverso il modello graduato che consta in un’esposizione graduale ai suoi vissuti ed emozioni fino a quando questi risultano tollerabili. I segnali di questa tolleranza saranno riconoscibili dall’osservazione da parte del terapeuta (e successivamente anche dal paziente stesso) dalle reazioni corporee all’ansia (le tre vie di scarica dell’ansia)[3] del paziente.
La tecnica di H. Davanloo ISTDP (Intensive Short Term Dynamic Psycotherapy) inizia a strutturarsi con un impianto teorico sempre più articolato anche grazie all’intervento di D. Malan, che ne consolida la validità mediante la sua teorizzazione metapsicologica (Malan, 1963, 1976a, 1979 chapter 10). Tra i concetti chiave si ritrova quello relativo al processo di cambiamento della persona, che può avvenire solo quando il paziente sarà in grado di entrare in contatto con sé stesso, con il suo profondo, ovvero facendo esperienza di sé.
Come spiego spesso ai miei studenti, un cambiamento duraturo è possibile quando il paziente riesce ad entrare in contatto autentico con le proprie emozioni profonde, una volta presa consapevolezza del proprio conflitto interiore. A suffragare questo concetto, espresso da H. Davanloo, a proposito della correlazione diretta fra esperienza delle emozioni e l’esito del trattamento vi sono state ricerche importanti (Abbass, 2002a; Town, Abbass & Brenier, 2013; Johansson, Town & Abbass,2014) che hanno evidenziato come a livello cerebrale attivando le strutture limbiche e i sistemi di memoria si escludono le regioni difensive come quelle della corteccia prefrontale.[4]
Parlo di “tensione possibile” come ciò che dobbiamo ricercare come terapeuti, ovvero: un equilibrio tra psiche e soma del paziente, affinché rimanga esposto all’emozione sviluppando la capacità di tollerarla.
In Figura 1 si possono notare, visivamente, le differenze tra una relazione terapeutica e l’altra.
Nella prima situazione possiamo notare come la tensione possibile nella relazione terapeutica sia “allentata”: si tratta di quelle circostanze in cui il paziente riferisce al terapeuta gli avvenimenti accaduti o quando fa delle corrette interpretazioni o collegamenti passato-presente, ma senza quel coinvolgimento che verrebbe favorito da un contatto autentico con le sue emozioni profonde.
Nella seconda vi è la “rottura”: da parte del terapeuta è stata esercita troppa pressione e l’ansia del paziente è aumentata divenendo non più tollerabile a sé stesso. In questo caso il paziente non si sente più com-preso dal terapeuta; tali circostanze possono portare all’interruzione del percorso o peggio ancora ad una traumatizzazione del paziente, che viene esposto ad un contenuto emotivo non (ancora) tollerabile.
Nella terza situazione è rappresentata la modalità corretta di procedere: il terapeuta è entrato in pieno contatto col paziente ed esercita quella corretta pressione che permette al paziente di sperimentare le emozioni legate ai vissuti in oggetto. Questo significa anche che il terapeuta è in grado di tollerare la sua ansia rispetto ai contenuti emotivi profondi che stanno emergendo. Pertanto la capacità del terapeuta di riconoscere quando si attivano in lui difese o fobie dell’affetto diventa, anche per questa tecnica, una conditio sine qua non.
Ma allora cosa intendiamo quando si parla di esposizione o exposure? Per rispondere a questa domanda sarà utile fare alcuni passi indietro ed introdurre alcuni fra i concetti principali dell’Affect Phobia Therapy (APT).
Negli anni ’80 la dott.ssa Leigh McCullough, su suggerimento di D. Malan, partecipò ad un seminario tenuto da Davanloo sulla terapia breve. La formazione cognitivista di L. McCullough le permise di apportare nuovi contribuiti alla tecnica formulando l’approccio APT di derivazione ISTPD, riformando ed integrando alcuni assunti base. Il concetto cardine su cui poggia l’APT è la fobia degli affetti. Quando si parla di affetti si fa riferimento a stati emotivi interni; le fobie, siano volte verso oggetti esterni o verso stati interni, scaturiscono sempre da un disagio personale, dovuto ad affetti e conflitti non elaborati che prendono la forma di fobia. E’ possibile pertanto che in un paziente vengano evitati sentimenti di vuoto, di tristezza, di rabbia o di vicinanza. La psiche, in questo caso, si dovrà riorganizzare per evitare quella determinata emozione e strutturerà percorsi alternativi, con difese maladattive che consentono alla persona di evitare i sentimenti intollerabili.
La terapia si focalizza pertanto sugli affetti come sinonimo di emozioni.
Le emozioni adattive sono quei sentimenti o affetti costruttivi che favoriscono comportamenti virtuosi, mentre si parla di emozioni maladattive quando quei sentimenti o affetti distruttivi vanno ad bloccare o inibire i processi e/o i comportamenti sani e proficui. E’ possibile così definire “emozioni attivanti” (activating affects) quelle che permettono di sviluppare la nostra energia vitale. Si tratta di stati in cui si riesce a vivere a pieno ed in modo “coerente” le proprie emozioni: quando siamo felici ridiamo, quando siamo tristi piangiamo, quando siamo arrabbiati poniamo dei limiti (e quindi ci conteniamo) e sappiamo essere vicini e compassionevoli verso noi stessi e gli altri. Invece, quelle che vengono definite “emozioni inibitorie” (inhibitory affects) sono quelle che vanno a paralizzare le nostre risposte di protezione sana di fronte ad eventi vissuti come avversi. Ad esempio: l’ansia mette in allerta la persona quando sta procedendo in una direzione che può essere dolorosa, ma troppa ansia diventa traumatizzante e paralizzante. La colpa, segnala che si sta infrangendo una regola, ma un eccessivo senso di colpa si trasforma in auto-attacco e odio per se stessi. La vergogna segnala quando ci si sta comportando in modo inaccettabile, ma se eccessiva si trasforma in umiliazione e svilimento. Il dolore emotivo segnala che si è angosciati, ma molto dolore diventa un’angoscia insopportabile. Riconosciamo, quindi, come emozioni inibitorie: ansia e panico; vergogna e umiliazione; colpa, dolore e angoscia ed infine il disgusto[5].
L’impianto teorico a cui si fa riferimento recupera alcuni concetti della teoria di Silvan Tomkins (Vol 1, pp. 22-87, 1962) che spiega come ci siano tre sistemi motivazionali che spingono le persone ad agire o stimolare specifiche tendenze d’azione. Tali stimoli sono:
– Gli impulsi biologici (fame, sete, sessualità ecc);
– Il dolore fisico;
– Le emozioni (rabbia, tristezza, paura, eccitazione, gioia ecc).
- Tomkins sottolinea come le emozioni siano i principali “motivatori” dei comportamenti[6]. A titolo esemplificativo si pensi a come l’eccitazione possa favorire determinate esperienze, mentre la vergogna possa inibire gli impulsi sessuali.
Il termine behavior (comportamento), che può “spaventare” coloro che provengono da una formazione psicoanalitica – psicodinamica, può essere invece un punto di partenza utile per un’approccio integrato: proprio in relazione alle fobie, si sono consumate infinite discussioni tra l’impostazione cognitivo-comportamentale e quella psicodinamica – psicoanalitica. L’argomentazione è nota: modificare il comportamento non genera una risoluzione definitiva del conflitto; ma, mentre per gli psicoanalisti è necessario approfondire il trauma antico dove risiede l’origine della fobia, per i terapeuti cognitivo-comportamentali è necessario rieducare il SNC mediante desensibilizzazione ed esposizione allo stimolo fobico. Purtroppo la conflittualità tra gli approcci genera spesso derive di tipo dogmatico, ostacolando un confronto produttivo tra due posizioni interessanti e assolutamente integrabili nella pratica clinica. Fobie dei terapeuti?
E’ mio parere che l’approccio APT abbia il merito di aver costruito un impianto teorico e clinico comune tra diversi modelli di cura. Il punto focale non sarà pertanto il confronto tra i diversi approcci, ma un’integrazione che valorizzi la complessità della persona.
Spesso, K. Osborn, allieva diretta di L. McCullough, definisce l’APT come un’approccio che si fa portatore dell’obiettivo di integrare le diverse angolature da cui viene vista la persona, per prendersene cura, come terapeuti, utilizzando ciò che la ricerca scientifica ha dimostrato essere valido.
Per tornare cosi al punto di partenza, l’exposure (ovvero l’esposizione), quindi, permette al paziente di esporsi alle emozioni vissute come dolorose, che lo hanno direzionato nella scelta – inconscia – di comportamenti boicottanti, che affondano le radici in una storia antica e profonda. Rivivere l’emozione nel setting psicoterapico[7] permette la nascita di quello che Davanloo definisce “complesso di sentimenti transferali” che, elaborato, permetterà al paziente di accedere al suo profondo, imparando a tollerare l’affetto, ovvero l’emozione. Una vera magia!
Ed ecco una seconda magia: ho incontrato personalmente colleghi provenienti da scuole cognitiviste che parlano di transfert e controtransfert, Super-io sabotante o punitivo, ecc. Mi piace pensare che un’integrazione sia auspicabile e possibile al fine di rendere le tecniche terapiche più esaustive e quindi efficaci.
Ciò che mi ha lasciato uno stupore ancora maggiore, riguarda le esperienze di supervisione con il gruppo APT, ovvero il profondo lavoro controtransferale: quando si opera un’analisi delle proprie fobie e si realizza un lavoro in relazione all’impatto che esse hanno quando incontrano quelle del paziente, si ottiene un risultato eccezionale. Questo conferma quanto noi terapeuti abbiamo bisogno di una “formazione e manutenzione permanente”. Le nostre vite, infatti, proseguono: amiamo e soffriamo esattamente come i nostri pazienti e la continua esposizione a esperienze (interiori ed esteriori) non potrà che muovere in noi oceani che, coprendo e disvelando, ci regaleranno nuovi lembi di terra.
“Se l’emozione, nella natura umana, è la fondamentale forza motivazionale, allora le emozioni devono essere centrali nel nostro lavoro clinico teorico e pratico, così da avere un impatto significativo nel cambiamento del comportamento dei pazienti”
(Treating Affect Phobia, p. 15, – 2003 – , Traduzione a cura di A. Bellin)
Bibliografia
Abbass A. (2015), Superando la resistenza traduzione italiana A. Bellin, I. Carraro; M. Malugani, Padova Cleup 2108
Alexander F., French T.M. et al., (1946) Psychoanalytic Therapy Principles and Application, New York, The Ronald Press Company
Davanloo H. (1990), Unlocking the Unconscious, Selected Papers of Habib Davanloo MD, Toronto, John Wiley and Sons
Donovan J. M., Osborn A.R.K, Rice S. (2017), Paraverbal Communication in Psychotherapy Beyond the Words, New York Rowman & Littlefield
Flegenheimer W.V (1993), Techniques of Brief Psychotherapy, USA Jason Aronson Inc
Malan D. (1979), Individual Psychotherapy and the Science of Psychodynamics, Butterworth & Co Ltd
McCullough, Nat Kuhn, Stuart Andrews, Jonathan Wolf, Cara Lanza Hurley (2003), Treating Affect Phobia Manual, New York, The Guilford Press
McCullough Vaillant L. (1997), Changing character: Short-Term, Anxiety-Regulating Psychotherapy for Restructuring Defenses, Affects, and Attachment. New York, Basic Books.
Sifneos P. (1974), Short Term Psychotherapy and Emotional Crisis, MA USA Harvard University Press
Soresi E. (2017), Il Cervello Anarchico, Milano, UTET
Ten Have -De Labue, Neborsky R.J. (2012), Mastering Intensive Short-term Dynamic Psychotherpy. London Karnac Books
[1] Short Term Psychotherapy and Emotional Crisis, P. Sifneos 1974
[2] Superando la resistenza, A. Abbss 2015, traduzione A. Bellin, I. Carraro, M. Malugani 2018
[3] Vie di scarico dell’ansia, H. Davanloo 2001; A. Abbass 2005
[4] Superando la resistenza, A. Abbss 2015, traduzione A. Bellin, I. Carraro, M. Malugani 2018
[5] McCullough, et al. 2003, Treating Affect Phobia Manual
[6] Ibidem
[7] Psychoanalytic Therapy Principles and Application , F. Alexander, T.M. French et al.,1946